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Le storie che aiutano a pensare: ecco perché è importante raccontarle

Le storie che aiutano a pensare: ecco perché è importante raccontarle

 
di Sara Gomel
 
Un principio che, in quanto filosofa con i bambini, considero fondamentale nei meccanismi del pensiero è quello della gradualità. Non ci svegliamo tutti i giorni chiedendoci se siamo liberi, non pensiamo a ogni istante alla condizione umana, né al nostro destino di mortali. E neanche i bambini lo fanno.

Sebbene si possa parlare di un’inclinazione umana alle grandi domande che emerge non appena i bambini acquisiscono i primi elementi di linguaggio, il nostro domandarci non appare casualmente, ma sempre in risposta a un qualche stimolo. Anche se non ce ne accorgiamo.

Non possiamo, per esempio, entrare in classe chiedendo: “Che cos’è la giustizia?”, oppure “esiste una felicità duratura?”. Lanciate così, senza capo né coda, le domande non hanno nessuna risonanza. Non ci poniamo il problema della giustizia infatti finché non lo viviamo, anche nei minimi termini. Se non ho mai riflettuto al tema, se non mi è mai capitato di pensarci, sarà difficile che io possa dire qualcosa in proposito. La domanda non suggerisce nulla al di fuori di se stessa.

Ecco quindi che entra in gioco il tema della gradualità: i bambini, i ragazzi, ma anche gli adulti, vanno avvicinati alle domande, ai problemi filosofici. Solo così potranno sentire la domanda pienamente, riconoscerla come propria e quindi volersi impegnare nell’arduo gioco del pensare insieme, che richiede entusiasmo, coraggio e un bel po’ di fatica.

Buona parte dei nostri laboratori, si potrebbe dire, consiste in grandi manovre di avvicinamento. Le strategie per avvicinarsi al cuore della domanda sono diverse, ma le mie preferite restano le storie. Non esiste, per me, strumento migliore per immergersi in dimensioni extra-ordinarie. Forse io, singolarmente, non mi sono mai posto il problema della giustizia, ma leggendo la storia di qualcuno che ha subito un’ingiustizia, in breve tempo lo farò mio. O meglio: lo sentirò. Ne avrò fatto esperienza, anche se di seconda mano.

Sono tantissimi gli studi che dimostrano come l’essere stati abituati alle storie sin da piccoli ci renda esseri umani più pensosi, più riflessivi, empatici e consapevoli. Per me, ogni volta che lavoro con bambini e ragazzi, l’intuizione è confermata: le storie ci affascinano, le facciamo subito nostre, ci coinvolgono, ci emozionano, ci lasciano qualcosa da pensare.

Ecco allora che per parlare del tema dell’identità – chi sono? in che senso posso dire di distinguermi dagli altri? Quanto degli altri c’è in me? – leggo ai bambini la storia di Pezzettino, un grande classico raccontato e illustrato da Leo Lionni. Pezzettino è in cerca della propria identità: si sente incompleto e per questo si convince di essere il pezzetto di qualcun’altro.

Quando mi pongo una domanda infatti è perché ho incontrato qualcosa che ha fatto sorgere in me quella domanda. Se mi chiedo dove sia la trattoria più vicina, per esempio, è perché ho percepito in me lo stimolo della fame. Se mi chiedo perché il cielo è blu, probabilmente è perché mi è capitato di guardarlo.

Il nostro pensiero è fatto di lunghissime concatenazioni di domande. Domande semplici, quotidiane. Ogni tanto invece emergono domande che hanno uno spessore diverso, che interrogano il mistero che è questa vita o che mettono in dubbio ciò che diamo per scontato. A noi filosofi interessano queste domande. Lavorando con bambini e ragazzi, dobbiamo chiederci come dar loro spazio e come promuoverle e accoglierle.

«Il suo nome era Pezzettino. Tutti i suoi amici erano grandi e coraggiosi e facevano cose meravigliose. Lui invece era piccolo e di sicuro era un pezzettino di qualcuno, pensava, un pezzetto mancante. Molto spesso si chiedeva di chi fosse il pezzettino e un bel giorno decise di scoprirlo».

Dopo aver letto la storia in una seconda elementare, il dialogo parte con grande naturalezza e spontaneità. Pongo ai bambini domande sul senso di identità, sulle cose che ci compongono e che fanno parte di noi (quali sono i nostri pezzettini?), sul rapporto con gli altri. Ripenso alle parole di Carlo, 7 anni, che come preso da un’illuminazione a un certo punto afferma: «Pezzettino all’inizio è triste, poi capisce di non essere pezzo di nessuno se non di sé stesso». «Fatto a sua volta di pezzettini», aggiunge un suo compagno.

Altra città, altra scuola. Siamo in una quinta elementare. Abbiamo fatto un lungo percorso partendo da due storie molto simili: Giacomo di cristallo, di Gianni Rodari, e La bambina di vetro, di Beatrice Alemagna. Entrambe le storie raccontano di un bambino trasparente, di cui tutti possono vedere i pensieri e le emozioni, e della loro difficoltà a essere accettati. Chiedo ai bambini come si sentirebbero se fossero trasparenti, se tutti potessero leggere i loro pensieri.

«Mi sentirei leggera, diversa, strana». «Mi confonderei con gli oggetti, cambierei colore alla luce del sole fino all’oscuro buio della notte». «Mi sentirei imbarazzato». «Mi sentirei triste perché gli altri inizierebbero ad arrabbiarsi con me». Ci vengono in mente diverse domande: ci sono cose che devono rimanere nostre, che vogliamo custodire e proteggere dagli sguardi altrui? Quanto sono importanti l’onestà e la sincerità? Ci sono bugie buone?

La volta successiva entriamo ancora più a fondo nelle storie e immaginiamo di essere dei piccoli Giacomo e delle piccole Gisèle: che cosa si vedrebbe, dentro di noi, se fossimo trasparenti? Dove collochiamo, nel corpo, pensieri, emozioni, sensazioni?

Ci sarebbe la paura, nera e oscura, dicono alcuni. Paura che sta negli occhi (“perché le cose prima le vedi e poi ti fanno paura”), nella pancia (“perché quando hai paura ti viene il mal di pancia”), nei piedi (“perché poi vuoi scappare”), nella pelle (“perché sudi freddo”), e così via. C’è l’amore, che sta nella bocca, negli occhi (“perché lo capisci con uno sguardo”), nelle braccia e nelle gambe (“perché l’amore si dimostra con i fatti”), nel naso (“l’amore si respira”). Scopriamo, a forza di farci domande, di avere un corpo tutto senziente, tutto pieno di vissuti: dal mignolo del piede fino alla punta dei capelli.

Ogni volta mi stupisco della ricchezza del pensiero dei bambini. Della loro raffinatezza percettiva, della complessità dei loro ragionamenti. Del loro saper cogliere le sfumature. Ma a questo bisogna arrivare. Le loro domande e i loro pensieri più autentici, spesso, sono chiusi in un cassetto ben sigillato. Soprattutto a scuola: i bambini sanno che non c’è né lo spazio né il tempo, e se c’è, è sempre poco. Ma il pensiero richiede lentezza e, appunto, gradualità. A poco a poco, se si procede con cura, le domande arrivano. Si tratta solo di trovare le strade – e le storie – giuste.

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Un filosofo fra i bambini: qual è la domanda più importante della tua vita?

Un filosofo fra i bambini: qual è la domanda più importante della tua vita?

https://www.italiachecambia.org/2021/11/filosofo-bambini-domanda/

di Luca Zanetti

Siediti comodo. Guardati intorno. Noterai diverse cose, forse una sedia, una pianta, dei muri, uno zaino, queste stesse parole. Ora porta attenzione a un’altra cosa strana che si trova nello spazio: il tuo corpo. Lo puoi guardare da fuori e considerarlo cosa fra le cose. Puoi vedere, ad esempio, le tue mani. Oppure, lo puoi guardare da dentro, lo puoi sentire. Puoi sentire, ad esempio, che cosa si prova ad avere una testa.

Ora puoi focalizzarti su un’altra cosa strana che sta accadendo in questo momento, qualcosa che non è né un oggetto là fuori, né una sensazione. Sto parlando della tua mente, in particolare dei tuoi pensieri. In questo preciso istante starai pensando a qualche cosa. Stai forse pensando alle frasi che leggi, stai valutando se sei d’accordo con ciò che esprimono, ti stai chiedendo dove stiamo andando a parare con questo articolo e altre cose che solo tu sai.

In questo ambito in cui accade ciò che chiamiamo pensare, si verifica un altro fenomeno fondamentale per la nostra vita: la domanda. Che cos’è una domanda? Ecco, questa che ti sei appena posto è una domanda. Dove accadono le domande? Qui. O meglio, lì dalle tue parti, dove accade in questo stesso momento la tua capacità di capire e soppesare queste parole. È qui che nascono le tue domande, i tuoi dubbi, le tue perplessità.

Se ora, senza girarti, ti chiedi cosa sta accadendo alle tue spalle, noterai che questa domanda accade dentro di te, è un moto della tua mente, non un oggetto là fuori, come una sedia o una sensazione, come il peso della testa sulle spalle.

Nella vita ci capita di farci un sacco di domande. In un certo senso, volendo, possiamo scoprire chi siamo e che vita viviamo se analizziamo quali domande ci facciamo e quali risposte ci diamo. Ciascuno di noi infatti si fa domande molto diverse. Alcuni sono interessati alla musica, altri alla moda, alcuni sono pieni di domande sulla politica, altri si interrogano sulle relazioni, altri ancora si arrovellano sul modo migliore di cucinare il baccalà e via dicendo. Insomma, ognuno di noi si interessa a cose diverse.

Ci sono tuttavia alcune domande che ci accomunano. Tutti noi dobbiamo organizzare le nostre vite e ci troviamo costantemente immersi in preoccupazioni di natura pratica. Che ore sono? Cosa mangio oggi a pranzo? Come faccio a risolvere quel problema? Dove ho messo le chiavi? Queste sono il tipo di domande che tutti noi ci poniamo, perché tutti noi abbiamo dei problemi pratici da risolvere quotidianamente.

Ci capita però di porci anche domande di un altro genere. Quando lo facciamo riconosciamo che esse sono particolarmente profonde, importanti, radicali. Per scoprire quali sono queste domande, ti propongo di fare un breve gioco – un gioco serisssssimo! – che sempre propongo a bambini, adolescenti e adulti la prima volta che ci incontriamo per fare un laboratorio di dialogo filosofico.

Prenditi un paio di minuti, senza distrazioni, per chiederti qual è la domanda più importante della tua vita. Può essere una domanda che ti poni spesso, proprio perché è la più importante della tua vita. Oppure può essere una domanda che ti poni raramente, perché è così radicale che non sempre riesci a sopportare la sua intensità. Può essere una domanda che ami condividere con gli altri, perché vuoi a tutti i costi conoscere la risposta e speri che il confronto possa aiutarti. Oppure può essere una domanda che tieni tutta per te, perché è una domanda che ti imbarazza o perché hai paura che gli altri non possano prenderti sul serio.

Come mi ricordano i bambini e gli adolescenti a cui propongo questo esercizio, spesso questo genere di domande affiora di sera, quando si è soli, prima di andare a letto, finalmente liberati dagli impegni e dai problemi della giornata. Pensaci. Qual è la domanda più importante della tua vita?

[…]

Non so cosa tu abbia risposto – non so nemmeno se tu abbia davvero fatto davvero l’esercizio, siamo sempre così di fretta, chi ha mai il tempo per chiedersi qual è la domanda più importante della sua vita? Ci sono cose ben più importanti, vero? Anche se non conosco la tua domanda più importante, avendo fatto tante volte questo esercizio con adulti e bambini posso dirti che tutti quanti, indipendentemente dall’età, si pongono le stesse domande fondamentali.

Se sei abituato ad ascoltare le domande dei bambini, non ti sorprenderà scoprire che la maggior parte dei bambini, quando invitati a porre la loro domanda più importante, si pone domande sulla morte. Perché si muore? Cosa succede quando si muore? Cosa c’è dopo? Rivedrò i miei cari?

Un altro tema che affascina grandi e piccoli riguarda l’origine e il senso del tutto. Come è nato tutto questo? Se Dio ha creato tutto, chi ha creato Dio? Perché il mondo esiste? Che senso ha il tutto? Poi ci sono domande sull’identità personale, la natura umana e sul senso della propria vita: Chi sono io? Perché io sono proprio io? Perché io esisto? Qual è il mio destino? Cosa voglio davvero? Qual è il senso della mia vita? Cosa devo fare da grande? Perché compiamo il male? E domande metafisiche sulla natura e il corso degli eventi: Che cos’è l’universo? Siamo liberi oppure tutto è già scritto? Che ne sarà del pianeta terra? Il mondo è reale o è tutta un’illusione?

È da circa tre anni che propongo questo gioco tutte le volte che incontro bambini, adolescenti e adulti per dialogare insieme. L’idea me l’ha suggerita il mio maestro di meditazione, Franco Bertossa. L’intuizione che è alla base di questo gioco è molto semplice: al di là delle differenze individuali, ogni essere umano, in quanto tale, si pone quelle che da sempre sono le grandi domande della filosofia.

Tutti noi ci chiediamo da dove veniamo, cosa siamo e che ne sarà di noi. Tutti noi ci chiediamo che senso ha l’esistenza, propria e del tutto. Tutti noi ci poniamo, in una forma o nell’altra, quella che per Martin Heidegger è la domanda fondamentale della metafisica: perché, in generale, vi è qualcosa, invece di nulla?

Mi è spesso capitato di affrontare questa domanda con i bambini della scuola primaria. E sempre rimango impressionato quando noto che non solo i bambini si pongono queste domande metafisiche ed esistenziali, ma, per giunta, i bambini sanno filosofare e cioè sanno proporre delle risposte argomentate a queste domande.

Per mostrarti ciò, ti voglio riportare alcuni passi di un dialogo che ho facilitato in una classe quarta della primaria un paio di anni fa. Dopo aver fatto il gioco serissimo della domanda più importante, ho chiesto ai bambini di votare una domanda che sarebbe poi diventata, nel resto del laboratorio, il perno della nostra indagine. La domanda scelta è stata: “Come ha fatto Dio a comparire sulla terra se nessuno l’ha creato?”.

Ho poi invitato il bambino che ha proposto questa domanda – chiamiamolo A –, a spiegarla al resto della classe. Queste le sue parole: “Prima di andare a letto, a volte, prego per la mia famiglia e per chi sta male nel mondo. E poi quando dico “Dio” mi fa pensare “ma chi l’ha creato?”, “chi ha creato te se noi nasciamo da una persona?”. Quando è nato mio fratello mi sono fatto questa domanda: “Ma se noi nasciamo da una persona, Dio da chi è nato?”.

Gli ho chiesto: “E ti sei anche risposto?”. E lui: “No. Da lì la penso ogni sera, però non sono mai riuscito a trovare una risposta”. “Allora proviamo a ragionarci insieme”, dico rivolgendomi a tutta la classe. Nel corso del dialogo, i bambini espongono diverse teorie. Alcuni sostengono che Dio non è nato da nessuno. Altri che è nato dopo il Big Bang. Altri che è nato da solo, ma per errore. Altri ancora che, sebbene Dio non sia nato da un’altra persona o dal Big Bang, è però stato creato da “qualcosa di molto sapiente”.

A un certo punto, un bambino, che chiameremo K, dice: “Io sono d’accordo che si è creato dal Big Bang. Però che cosa ha creato il Big Bang? … Mi sono posto questa domanda: ma allora, se il Big Bang ha creato Dio, chi ha creato il Big Bang?”. E il resto della classe: “La natura”. E K insiste: “E chi ha creato la natura?”.

A questo punto in classe è nata una gran confusione perché tutti avevano capito che l’osservazione di K era in un qualche modo decisiva. K è riuscito a dire chiaramente ciò che forse molti bambini – incluso il bambino che ha posto la domanda iniziale – avevano già intuito senza saperlo. E cioè che se ammettiamo che ogni cosa esiste perché è l’effetto di una qualche causa, allora non potremo mai trovare una causa prima, poiché potremo sempre chiederci, rispetto a questa stessa causa prima, da dove proviene.

È interessante vedere quali sono i tentativi dei bambini di risolvere il problema posto da K. A proposito del ragionamento di K, A dice: “Il ragionamento di K, io gli do ragione. Perché se il Big Bang, che è stato anche un vulcano a farlo, chi ha creato il vulcano? E se è stata la natura, chi ha creato la natura? Prima per me il mondo era una cosa che non esisteva, era tipo un foglio bianco che poi è comparso Dio, che non si sa come, e ha creato tutto”.

Qui A sta cercando di pensare l’origine del tutto come una sorta di foglio bianco. Per chi conosce un po’ la filosofia, sarà facile ricordare alcuni tentativi simili che sono stati fatti nella storia della filosofia per pensare l’origine del tutto. Viene in mente l’apeiron di Anassimandro. E tutti quei filosofi e scienziati che cercano di pensare all’origine dell’universo come a qualcosa che scaturisce miracolosamente da un qualche vuoto cosmico, da un quasi nulla che racchiude in un qualche modo le potenzialità per tutto ciò che c’è.

È stupefacente vedere come risponde un altro bambino, chiamiamolo M, alla proposta di A: “Ho una domanda: chi ha creato lo spazio?”. Fantastico! M ha assimilato il “foglio bianco” di A a una sorta di grande spazio vuoto da cui tutto dovrebbe nascere. Ma visto che M ha capito il ragionamento di K, sa che la proposta di A non può bastare. E infatti chiede chi ha creato lo spazio, con ciò riproponendo il regresso all’infinito suggerito dall’intervento di K.

Potrei continuare, ma questi pochi scambi possono bastare per mostrarti il punto che volevo che realizzassi con questa lettura: i bambini si pongono le grandi domande. Sanno ragionarci su. E si emozionano quando scoprono che anche i propri compagni di classe (e gli insegnanti!) si pongono le stesse domande fondamentali sulla morte, la vita e sul senso di tutto questo.

Non solo. La mia esperienza mi insegna che condividere domande e pensieri filosofici radicali con i propri compagni e con gli insegnanti ha il potere di curare i bambini dalle paure e dalle angosce che talvolta affiorano quando contempliamo i grandi misteri dell’esistenza. Quando l’angoscia e la paura si affievoliscono, rimane intensa la meraviglia e lo stupore per i grandi fatti che, bambini e adulti, si trovano insieme a contemplare.

Questo corpo, questo momento, questi stessi pensieri e tutto ciò che li circonda… Che cos’è?

E soprattutto: perché c’è?

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Filò: chi l’ha detto che la filosofia non è per bambini e ragazzi?

Filò: chi l’ha detto che la filosofia non è per bambini e ragazzi?

14 OTT 2021
 
Filò: chi l’ha detto che la filosofia non è per bambini e ragazzi?

Un gruppo di giovani accomunati dalla passione per la filosofia e la pedagogia ha lanciato un progetto che vuole portare queste pratiche fra i banchi di scuola, per diffondere consapevolezza e dialogare con le menti fresche, curiose e fertili dei più piccoli. Vi presentiamo “Filò, il filo del pensiero” in questo articolo, il primo di una serie finalizzata a esplorare le tematiche e le attività del progetto.

Leggi l’articolo completo cliccando sull’immagine. 

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